È Pierre Miéyaa, autore di una biografia inedita di san Michele, a raccontarci come andò quel 14 maggio 1863.
All’inizio del 1863 si constata l’improv- visa diminuzione delle forze di san Michele. […] Intorno a fine aprile il fondatore sembra ristabilirsi un poco e la comunità ricomincia a sperare. Ma la notte della domenica 10 maggio 1863 verso le 11.30 padre Garicöits è improvvisamente colto da un forte accesso di tosse, così violento da svegliare i vicini. Padre Saubatte si alza di soprassalto e accorre, gli somministra un po’ d’acqua tiepida. «È un’indigestione», sostiene il malato e lo rimanda a letto. Il mattino seguente padre Saubatte torna e trova la camera vuota: padre Garicöits ha appena finito di celebrare la messa in santuario. La giornata trascorre senza problemi, così come la seguente; il medico permette pure di uscire. È allora che il fondatore progetta di raggiungere la canonica di Angais, a 15 km, per salutare monsignor Lacroix che sta facendo il giro delle cresime, tornando poi per Nay dove vuole salutare le domenicane e le Figlie della Croce.
Martedì 12 maggio padre Saubatte lo accompagna in calesse a Igon; la superiora, suor Saint-Edouard, si accorge della sua debolezza e gli dice: «Angais è troppo lontano, ma domani il vescovo sarà a Mirepeix: sarà più facile andarlo a trovare». Ma il 13 maggio il tempo è brutto, umido con nebbia; padre Saubatte teme che il superiore prenda freddo e avvisa padre Cazaban, l’economo: «Me ne occupo io, lei non si faccia vedere!». Padre Saubatte si eclissa. Ma, all’ora stabilita per la partenza, padre Garicöits è sulla porta e non trova nessuno. Fa chiamare Saubatte e fa preparare il calesse, intanto scrive una lettera a padre Carrerot a Pau: sarà la sua ultima e per curiosa coincidenza si tratta di una missiva che si occupa del problema di un fratello che dava qualche preoccupazione perché refrattario all’obbedienza: «Tutti i nostri – scrive il superiore – per restare nella congregazione devono sempre lasciare ai loro superiori la libera disposizione delle loro persone. Se non vogliono, e se persistono nel rifiuto, devono essere rimandati a casa». Quindi parte verso Mirepeix, con fratel Arnaud come cocchiere. Passando da Nay si ferma dalle domenicane, che sono colpite dal pallore mortale del suo volto e tuttavia ammirano la tranquillità assoluta e la gioia intima del loro confessore.
A Mirepeix padre Garicöits si butta ai piedi del vescovo, con le mani giunte: «Monsignore, mi dia la sua ultima benedizione!». «Ma – interviene il vescovo – non siamo a questo punto… Spero che la conserveremo ancora». Monsignor Lacroix lo rialza. Si abbracciano piangendo, sono molto emozionati quando il prelato aggiunge: «Non le darò la benedizione se non mi promette di corregersi, risposandosi e prendendosi cura della sua salute». «Monsignore, non ho ancora fatto nulla per la gloria di Dio», risponde padre Garicöits. Segue un incontro in cui il superiore sistema alcune questioni col vescovo, poi quest’ultimo lo benedice.
Sulla via del ritorno padre Garicöits si ferma al convento delle Figlie della Croce a Igon, dove ha lavorato ben 35 anni e di cui è stato l’anima. Le superiore lo accolgono sulla porta e subito egli manifesta la sua intenzione: «Mi piacerebbe passare la notte qui, nella cappellania, per aspettare che arrivi il vescovo domani». Suor Saint-Edouard però si a retta a distoglierlo dall’idea, sostenendo che cambiare il letto potrebbe essere un disagio per lui. Forse la cosa dispiace un po’ a padre Garicöits, perché quando suor Saint Sabinien gli domanda se si ferma per la notte, lui risponde: «Non vogliono». La presenza del cappellano, che non vedono da oltre un mese, mette in movimento tutte le religiose della casa, che accorrono da ogni parte per vederlo. Anche le ammalate dell’infermeria si affacciano a un balcone di fronte al parlatorio; padre Michele le benedice, per la prima volta. E a quel gesto, imprevisto quanto spontaneo, tutte le altre si arrestano a chiedere lo stesso; è un momento di grande emozione. Padre Garicöits, che fino ad allora non l’aveva mai voluto fare, questa volta benedice a voce alta le sue care Figlie della Croce; e alla ne aggiunge: “Avanti sempre fino in cielo”.
Di ritorno a Bétharram il fondatore […] sta in ricreazione con i padri e con tutti si mostra più a abile ed espansivo del solito. Era particolarmente contento e felice e spandeva serenità intorno a sé. Dopo la preghiera della sera, prima di ritirarsi in camera, si congeda dai suoi gli sorridendo: «Vi auguro buona festa». Non vuole nemmeno la tisana che gli stanno preparando, perché si sente bene così.
In piena notte, verso le 2 del mattino di giovedì 14 maggio, è colto da soffocamento, che gli provoca una tosse violenta. I suoi gemiti buttano giù dal letto padre Saubatte, che dorme al piano superiore. Il malato chiama l’infermiere, fratel Arnaud, che dorme nell’anticamera e accorre, trovando il suo superiore ansimante e soffocato: «Mi fa male qui», dice indicandosi il petto. Secondo le consuetudini della medicina del tempo e le indicazioni del medico, tutti si prodigano a preparare decotti e compresse calde da mettere sul petto del malato, per farlo respirare meglio; viene chiamato anche fratel Domenjean, che è robusto, per frizionarlo con più forza e riattivare così la circolazione; sono arrivati anche l’economo Cazaban, il confessore Fondeville. Padre Garicöits sente mancare il respiro e chiede inutilmente che si apra la finestra. La respirazione è sempre più faticosa, interrotta da piccoli gridi e gemiti continui; fratel Baptiste gli tiene sollevata la testa. Il malato però è sempre cosciente; padre Fondeville gli dà l’assoluzione e poi lo unge con l’olio dell’estrema unzione. Il suo braccio destro padre Etchécopar, avvertito alle 3 meno un quarto, arriva in tempo per raccogliere l’ultimo respiro: “Dio mio, abbi pietà di me! Signore, vieni in mio soccorso!”. Dopo un’ora di agonia, padre Garicöits spira.