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«Ciao p. Enrico, ora “nanna” tra le braccia del Padre»

di padre Piero Trameri

Ci inchiniamo di fronte al mistero di una vita sacerdotale – quella di padre Enrico Mariani, scomparso lo scorso 29 gennaio – vissuta per 4 anni nell’impegno ministeriale attivo e poi segnata dalla malattia, dalla disabilità, dal dolore e dalla sofferenza per ben cinquant’anni.
Ci inchiniamo davanti alla volontà del Signore, per servire il quale e per arrivare in tempo a celebrare l’eucarestia, padre Enrico è caduto rovinosamente in un dirupo, sulle montagne della Valsolda, assistito e confortato solo da Lui, il suo Signore, nella solitudine di una fredda notte di marzo del 1973.
Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci ha raccontato di Gesù, in casa, a Cafarnao, pressato dalla folla che ostruiva tutti i passaggi. Capita spesso anche oggi che siano bloccati i passaggi per arrivare ad incontrare Gesù. Ma qualche benevolo amico del paralitico ha pensato bene di calarlo dal tetto, al centro della sala, davanti a Gesù, per essere da Lui guarito.
Noi, come la folla di Cafarnao, avremmo voluto che dicesse al paralitico e a padre Enrico, non solo “ti sono rimessi i tuoi peccati” ma che lo guarisse. Noi vorremmo che il Signore faccia sempre la nostra volontà, che esaudisse i nostri desideri, ma Lui ci guarisce prima di tutto “dentro”, nella mente e nel cuore e toglie il male, il peccato per farci dono di una vita nuova, come la Sua, fatta di fiducia nel Padre del cielo e di attenzione vigile e premurosa nei confronti dei fratelli.
È stata la situazione che ha caratterizzato anche la vita di padre Enrico. Calato da mani amorevoli al “Centro” di varie nostre comunità religiose – Monteporzio, Albavilla, Valsola e ancora negli ultimi 20 anni ad Albavilla. Lui , sempre davanti al Signore e ispirato da Lui, è stato a modo suo sempre polo di attrazione, centro di attenzioni per la sua simpatia, manifestata nei modi più diversi: con i suoi celebri detti, con il canto, con i gesti che dicevano molto più delle parole.
È stato anche provvidenziale provocazione e richiamo alla vera fraternità, voluta e insegnata da Gesù, richiamo all’attenzione amorevole nei confronti di chi è debole, fragile, a volte incapace di comunicare, come il paralitico davanti al Signore Gesù.
La paralisi fisica non ha impedito a padre Enrico di vivere una vita gioiosa, felice, ritmata dai suoi canti di sola melodia senza parole, cantati con la voce del cuore.
La disabilità non gli ha tolto la capacità di piccoli e significativi gesti di riconoscenza per coloro che lo assistevano: bastava un’immaginetta, un santino, un ritaglio di giornale.
Per i suoi familiari poi dimostrava tutto il suo affetto raccogliendo lungo il corso della settimana riviste, piccoli oggetti, cianfrusaglie di ogni genere, che potessero, il sabato, raccontare l’amore di cui erano stati oggetto.
Ci mancherà tanto padre Enrico!
Mancherà soprattutto ai suoi familiari, per i quali ha dimostrato sempre tanto affetto.
Mancherà alla comunità di Albavilla, dove ha vissuto gli ultimi 20 anni. Mancherà a padre Mario, suo tutore, a padre Alessandro che lo ha vegliato nelle ultime notti. Mancherà ai confratelli anziani come lui, che ne hanno condiviso le sofferenze, le solitudini e anche le simpatie. Mancherà anche al sottoscritto: mi ha raggiunto sabato, nel cuore dell’Africa, con un “ciao” appena sussurrato al telefono che diceva tutto; ha atteso che tornassi, domenica, per un altro “ciao” qualche ora prima di spirare. Mancherà molto a Francesca, Anna, Daria, Elena che lo hanno adottato come un figlio prediletto e circondato di premure e tenerezze squisitamente femminili, di cui padre Enrico ha potuto tanto gioire e anche contraccambiare.
Credo che non mancherà mai a nessuno di coloro che lo hanno conosciuto il ricordo di una persona, di un sacerdote sfortunato per le menomazioni fisiche ma capace come Giobbe di sopportare serenamente, senza perdere la fiducia nel Signore – fiducia di cui ci ha parlato Paolo agli Efesini nella seconda lettura – continuando a cantare con il cuore la sete del Dio Vivente che ardeva nella sua anima.
“Grazie, al ciel, ciao!”: era il trittico di parole che riusciva a pronunciare meglio e che ripeteva di continuo. In ospedale, stanco, congedava chi lo visitava dicendo: “Nanna, ciao!” (Tradotto: “sono stanco, lasciatemi riposare”).
“Ciao” p. Enrico! “Nanna” ora tra le braccia del Padre. Per sempre!

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