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Padre Paniga: «Ecco cos’ho imparato dai giovani malati»

Trecentocinquanta operatori sanitari di tutta Italia si sono ritrovati ad Assisi dal 9 al 12 ottobre scorso per il 33° Convegno nazionale dell’Associazione Italiana di Pastorale Sanitaria (A.I.Pa.S) che da anni si occupa della formazione permanente e dell’aggiornamento di coloro – laici e religiosi – che lavorano in ospedali, case di cura e convalescenziari. Il tema di quest’anno era «Giovani, fede, malattia», elementi apparentemente contrastanti che però c’entrano l’un l’altro come ci ha raccontato padre Alessandro Paniga – betharramita e cappellano presso l’ospedale di Solbiate – che partecipa al convegno da ormai tredici anni. «Ci sono state tante relazioni tutte interessanti, tra cui quelle della biblista Rosanna Virgili e del direttore dell’Ufficio pastorale della salute dell’arcidiocesi di Torino don Paolo Fini. A colpirmi però sono state le testimonianze dei ragazzi che hanno vissuto la malattia. Soprattutto quella di don Francesco Rebuli della diocesi di Conegliano Veneto che in assemblea ha raccontato la sua storia. L’ho conosciuto i giorni precedenti il suo intervento e abbiamo parlato a lungo. Un bel ragazzo intelligente che per festeggiare la sua maturità va al mare con i suoi amici ma nel fare un tuffo si fa male e rompe la spina dorsale rimanendo paralizzato da metà vita in giù. Ha 19 anni (siamo nel 1997), fa lunghe cure prima in Italia e poi in Germania. Torna a casa distrutto, ma non si scoraggia. Aiutato dai genitori, dai fratelli e dagli amici, ma soprattutto da una fede che si porta dietro (prima dell’incidente frequentava la chiesa, faceva l’animatore in oratorio, i Grest con i ragazzi), riesce a superare quei momenti di buio e di sconfitta che si porta appresso. È anche grazie a san Francesco d’Assisi, attraverso il fioretto della “perfetta letizia” che riesce a dare un nuovo senso alla sua vita. A infondergli fiducia è c’è anche il salmo 40 e la musica degli U2… Pian piano nasce in lui la voglia di donarsi al Signore, chiede di entrare in seminario, nel 2014 diventa sacerdote e oggi svolge il suo ministero a Conegliano, dove insieme a un  giovane musulmano marocchino che lo aiuta si dedica ai giovani e alla pastorale in parrocchia. La sua storia insieme a quella di Chiara e Hila mi ha convinto che ogni epoca ha prodotto giovani “problematici”, ma ha anche generato ragazzi e ragazze in gamba, pieni di iniziative e quasi profetici, i quali nell’esperienza della malattia hanno dimostrato grande maturità e fede indipendentemente dalla religione di appartenenza. Un giovane musulmano che ha vinto la depressione ed è  guarito, per esempio, ci ha raccontato di aver maturato la convinzione sempre più ferma che la malattia non è un castigo di Dio, ma un’opportunità per uscirne migliorati per un impegno più forte nella vita». «Il mondo degli adulti – riflette infine padre Alessandro – spesso esprime scetticismo sulla capacità dei giovani di prendersi cura del bene comune, di affrontare le sfide della vita, specialmente quelle più dolorose, di fare scelte decisive e rimanere fedeli a tali scelte, ma ha bisogno di cambiare mentalità e di donare ai ragazzi più fiducia nelle loro capacità di realizzare un mondo migliore».

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