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Giacomo Ghislanzoni, prete coi versi e con la vita

«Il religioso è anzitutto un creatore di dissonanze» scriveva padre Giacomo Ghislanzoni in uno dei tanti testi in prosa che ci ha lasciato accanto alle sue più note liriche. Una frase che a noi che lo ricordiamo oggi nel decimo anniversario della morte – avvenuta il 25 settembre 2007 a Castellazzo di Bollate – pare particolarmente adatta per descrivere quel prete-poeta che univa versi carezzevoli a un carattere intransigente con gli altri ma soprattutto con se stesso. Proprio per queste due caratteristiche apparentemente opposte, padre Giacomo ha lasciato un segno profondo in quanti lo hanno conosciuto e in particolare nei giovani: sembrava un sacerdote dall’aria distratta ma le sue parole azzeccate e puntuali dimostravano che aveva colto perfettamente il cuore della questione. Nato a Domaso (Como) nel 1929, aveva completato l’iter della formazione betharramita prima nel seminario di Colico e poi a Balarin, la località francese allora sede di noviziato; infine era stato ordinato sacerdote nel 1953. La sua vita religiosa da quel momento in poi è stata variegata per luoghi e ruoli: per anni ha insegnato nelle scuole pubbliche, poi è stato cappellano preso l’Alpe Motta di Campodolcino e infine apripista delle comunità di Busto Arsizio e Vergiate prima dell’arrivo a Castellazzo di Bollate dove ha trascorso gli ultimi 12 anni di vita. Tra i suoi versi, ancora tutti da riscoprire, si legge: «Coltivo la bellezza / ascolto il sole seduto sulla pietra / accanto a me / divento apprendista di infinito /sarò tra quelli che snidano il sole / e lo distribuiscono»; e ancora, come una sorta di epitaffio a se stesso: «Non voglio andarmene senza fervore».

 

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