di padre Egidio Zoia
L’attesa non è un atteggiamento molto popolare, non è qualche cosa a cui si pensa con simpatia. La maggior parte delle persone la considera una perdita di tempo, forse perché la cultura di oggi vuole ‘tutto e subito’!
Eppure attendere è un atteggiamento profondamente radicato nella vita: il bambino è atteso; la persona ogni giorno attende qualcosa e, nel desiderio, di bello e di buono. Attendere è aver fiducia che ci accadrà qualcosa che è molto al di là della nostra immaginazione. L’attesa è vivere la speranza; è affidare il controllo del proprio futuro e lasciare che sia un Altro a determinare la nostra vita, abbandonandoci completamente a lui. L’attesa è vivere con la convinzione che siamo plasmati da un Amore più grande e non secondo le nostre paure. La paura, in questo tempo che ci strappa alle nostre abitudini, rischia di dominare i nostri giorni, di costringerci all’isolamento, ci spinge verso un pessimismo che fa precipitare tutto e ci tiene sempre sospesi in attesa di…
Quando la paura prende il sopravvento nell’attesa, riesce a farci perdere la speranza; ecco perché è necessario rafforzare la nostra fede in ciò che si attende, dare la nostra fiducia in Colui che si aspetta e, a sua volta, ci attende. Il tempo in cui siamo immersi sembra quasi un tempo ‘irrazionale’, ‘anormale’, eppure può essere un tempo molto utile e prezioso, se ne approfittiamo per rientrare in noi stessi e porci delle domande essenziali. Per noi è il tempo dell’Attesa di una Persona aspettata da secoli, desiderata da tutti. Quando questa Persona è finalmente apparsa ed è vissuta nel mondo, ha detto e fatto delle ‘cose’ che hanno sorpreso tutti e tanto straordinarie da dividere il tempo in prima e dopo la sua Venuta. Persona che è sempre stata ’segno’ di contraddizione in vita e dopo la morte, segno di contraddizione, pur predicando la fraternità universale. Di questa Persona ogni anno se ne attende la venuta, se ne celebra la nascita, come se fosse la prima, tanto è attuale. Spesso però si preferisce non sentirne parlare o ignorarla. Perché?
Questo tempo che ci aiuta ad essere soli con se stessi, ma non solitari, che ci rinchiude in casa lontano dai frastuoni luminosi della ‘normalità’, che ci sgrava di spese necessarie alla vista ma inutili nella sostanza, può, e quindi deve essere occasione di riflessione sulla speranza nell’attesa e – perché no! – di preghiera dinanzi a quel Presepe che ci richiama ad una realtà che non passa mai, a qualcosa che dà pace e serenità, a Qualcuno che infonde speranza e fiducia; Lui, silenziosamente, dal presepe ci sorride, ci ama e ci dice: Non aver paura, io ci sono!