di Ugo Zugnoni
Il decano dei volontari italiani nella missione betharramita in Repubblica Centrafricana racconta l’amicizia con Ulisse, altro volontario a Niem, e la decisione di ristrutturare insieme una cappelletta in Valgerola
Il 12 febbraio del 2016 era un giorno come gli altri e pensai di fare un giro da Regoledo a Mellarolo, il paese dove sono nato e cresciuto. Presi la macchina fotografica e pensai di percorrere la vecchia mulattiera che parte da Morbegno e sale in Valgerola. Dopo un paio di chilometri, feci una prima tappa dove c’è la vecchia chiesa semi distrutta dedicata a San Carlo, scattai alcune foto, poi mi sedetti sopra un grosso sasso per guardare il panorama di Morbegno e abbandonarmi ai ricordi. Ripensai al 1945-1950, anni molto duri perché era appena finita la guerra. Mio padre, come tanti altri, andava in treno giù alla pianura Padana a comperare riso, granoturco o frumento. Arrivati alla stazione di Morbegno, trascinavano quei pesanti sacchi da 50 o 60 kg fin sopra Morbegno; poi si dividevano il carico secondo quello che ciascuno riusciva a portare.
A San Carlo tutti si fermavano per una piccola preghiera e per riposarsi un po’, poi riprendevano la salita. Circa 500 metri prima di Sacco, la vecchia strada si biforca. Una passa per Sacco di Sotto e prosegue verso Rasura, l’altra sale verso la chiesa di Sacco e si dirige a Mellarolo. Presso il bivio c’è un gisol, chiamato della Moratta. Quel giorno trovai il mio amico Ulisse Vaninetti che se ne stava seduto sui gradini del gisol, dato che questo si trova rialzato rispetto al piano della strada e mi guardava intensamente. Gli scattai una foto, poi mi sedetti anch’io e incominciammo a parlare delle esperienze fatte insieme in Africa. Ricordavo che un giorno mi aveva detto: «Quando ritorno in Italia, voglio fare una piccola cappella dedicata alla Madonna, alla Corte, vicino alla mia baita». Ero rimasto un po’ stupito di questa sua idea, dato che Ulisse si ricorda del Signore solo quando si arrabbia e usa parole non tanto belle.
Allora io, guardando le condizioni un po’ precarie in cui si trovava quella cappelletta, gli proposi: «Ulisse, al posto di fare una cappella nuova alla Corte, perché non mettiamo a posto questa?» Lui mi guardò, poi, dopo un breve silenzio, mi disse semplicemente: «Hai ragione».
Otto giorni dopo eravamo già lì con i picconi e le pale a scavare tutto intorno per eliminare l’umidità dal piccolo edificio. Sembra strano ma ogni volta che c’era bisogno di aiuto, arrivava sempre la persona adatta per il lavoro da fare, come Claudio Merlini che ha collaborato con noi per tutta l’opera. Alla fine rimanevano da fare le rifiniture ed ero un po’ preoccupato perché non sapevo chi avrei potuto chiamare. Allora mi è venuto in mente il Cesare Piganzoli di Rasura. Lo chiamai al telefono e gli spiegai quello che stavamo facendo e cosa rimaneva.
Lui mi aveva risposto subito: «Domani mattina vengo a vedere; per le otto sono lì; questo lavoro lo faccio io». Dopo soli 8 giorni il lavoro era già finito con grande precisione. Provai una gioia immensa ed esclamai spontaneamente: «Grazie Signore!».
Per affrontare le spese del restauro Ulisse ed io, all’inizio, avevamo creato una cassa con 100 euro ciascuno, poi abbiamo toccato con mano quanto sia stata generosa la provvidenza tanto che, quando c’era qualcosa da pagare, nella nostra cassa c’erano sempre soldi abbastanza. Un giorno passarono di lì un ragazzo e una ragazza e si fermarono a guardare il lavoro che stavamo facendo. «Chi paga tutto questo?» mi aveva chiesto il ragazzo. «La provvidenza!» gli risposi. Allora quello tirò fuori il borsellino e mi diede 100 euro dicendo: «Vogliamo partecipare anche noi a questo lavoro. Dite una piccola preghiera pe noi». Non mi conoscevano nemmeno e mi davano dei soldi! Nel ringraziarli mi sono commosso fino alle lacrime; non li ho mai più rivisti.
L’antica mulattiera che passa davanti a quel gisol è molto comoda per fare passeggiate o per l’allenamento per la corsa. La maggior parte delle persone, però, passa e non si accorge neanche che c’è questa cappelletta. Un giorno, quando erano quasi finiti i lavori, successe un altro fatto molto interessante. Sulla strada attivò un gruppo di cinque persone a cavallo. I primi quattro erano passati tranquilli come se niente fosse. Il quinto cavallo, invece, si fermò davanti alla cappelletta, girò la testa verso il dipinto ed emise un nitrito. «Che bravo che sei – dissi al cavaliere – gli altri sono passati tranquilli e tu ti sei fermato a salutare la Madonna». A queste parole l’uomo rimase sorpreso e disse: «Il cavallo si è fermato da solo. Che strano! Sarà solo un caso? Però fa pensare.
Tante volte le bestie ci danno delle lezioni». Il mio amico Ulisse, purtroppo, non ha potuto vedere la conclusione dei lavori perché il Signore l’ha chiamato a sé il 3 ottobre 2016. Il lavoro più impegnativo è stato il restauro del dipinto. Per questo chiamai un mio amico pittore, uno di quelli con le carte in regole e gli chiesi un preventivo: 2000 euro. Mi spaventai perché nella nostra cassa ce n’erano solo 100. Dopo alcuni giorni, però, una signora di Sacco mi disse che sua figlia Elisa avrebbe voluto fare il dipinto. Ero rimasto un po’ meravigliato, perché dopo due anni che si lavorava non mi aveva mai detto nulla. Comunque abbiamo fatto con lei l’accordo (solo a parole) di 1000 euro più le spese per i colori. Mi misi subito all’opera per recuperare i fondi e anche qui trovai molta generosità da parte del Comune, che ha procurato i colori, della pro loco di Rasura e Mellarolo, del consiglio pastorale di Sacco, di altre persone e della pittrice Elisa che alla fine ci ha fatto lo sconto. In questo modo, al termine del restauro, mi sono trovato ancora in cassa 400 euro: soldi che serviranno a finanziare un portone per la chiesa nella missione di Niem in Repubblica Centrafricana, dove Ulisse e io siamo stati insieme a lavorare.