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Michele Garicoits: 75 anni da santo

Oggi si celebrano i 75 anni della canonizzazione di Michele Garicoits, fondatore della congregazione del Sacro Cuore di Gesù di Bétharram, avvenuta il 6 luglio 1947. Garicoits è stato proclamato santo da papa Pio XII insieme a Giovanna Elisabetta Bichier des Ages, la fondatrice delle Figlie della Croce che il religioso conobbe nel 1828 e con la quale ebbe un sincero sodalizio spirituale. 

 

di padre Alessandro Paniga

Come riflessione in questa giornata speciale vorrei proporre il tema della santità, attingendo all’esortazione apostolica “Gaudete et Exsultate” di papa Francesco e alle parole e alla vita di San Michele. All’inizio dell’esortazione il papa ci dice: “(Gesù) ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata e inconsistente”. Non è stato certamente così per San Michele. Lui parlava in questo modo della perfezione, cioè della santità: “Si deve salire senza stancarsi, con l’occhio fisso al gradino superiore e il cuore rivolto verso il cielo… Non bisogna mai fermarsi”. “Ma, Padre – gli disse un giorno un suo confratello – lei ci predica la più alta perfezione!”. “Eh, sì, rispose il santo, è veramente la più alta perfezione che voglio predicarvi, perché è la nostra vocazione… È là che dobbiamo tendere senza fermarci mai”. Ma aggiungeva anche: “Per arrivare alla perfezione non è necessario fare grandi cose… La perfezione consiste nel fare bene le azioni ordinarie, nel compiere bene il proprio dovere. Allora rinnoviamo il proposito di compiere bene le azioni quotidiane, con diligenza ordine e dedizione”. E ancora: “Non è la molteplicità delle azioni che conduce alla perfezione; è il modo con cui si fanno… La perfezione di tutte le perfezioni sta nel guardare solo a Dio e per amor suo nell’applicarci a fare quello che Lui vuole e a volere solo questo”.
Tutti noi, sostenuti dal suo esempio e dalla sua intercessione, siamo chiamati alla santità, ognuno per la sua via, come ricorda papa Francesco nell’Esortazione riprendendo la Lumen Gentium (cap.11): “Tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità, la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste”. E aggiunge il papa: “Ognuno per la sua via”, come dice il Concilio. Dunque, non è il caso di scoraggiarsi quando si contemplano modelli di santità che appaiono irraggiungibili. Ci sono testimonianze che sono utili per stimolarci e motivarci, ma non perché cerchiamo di copiarle, in quanto ciò potrebbe perfino allontanarci dalla via unica e specifica che il Signore ha in serbo per noi. Quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui”. E ancora: “Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione…” (cap.14). “In che cosa consiste – si chiede il nostro santo – il nostro progresso spirituale e la nostra perfezione? Nel compiere bene le nostre azioni quotidiane: quelle del nostro stato, della nostra vocazione, del nostro ufficio, quelle più comuni, le giornaliere. E compiere bene le nostre occupazioni quotidiane vuol dire: farle con esattezza, non ometterle, non affrettarle o rimandarle; farle con generosità, corde magno et animo volenti (con cuore grande e animo generoso); farle con perseveranza, avanti sempre! Si dice spesso: “Se fossi in quella posizione, in quella casa, con tale superiore, diventerei un santo. Illusione!” Fate bene il vostro dovere quotidiano, anche fare le pulizie, lavare i piatti, eseguire i lavori più umili che vi sono affidati: ecco ciò che Dio vi domanda e il cui compimento vi renderà santi”. E ancora: “Siamo sulla terra per santificarci e per santificare gli altri. Ora un grande mezzo di santità è di compiere bene gli impegni ordinari, senza tralasciare i meno importanti. Il merito dell’azione più umile è incalcolabile:” La carità d’un bicchiere d’acqua, ha detto nostro Signore, sarà ricompensata in cielo”. Quest’azione ben fatta vale più di tutte le cose create messe insieme. Vale Dio niente meno che Dio. Dio è il suo prezzo, sovrabbondante senza dubbio, ma in definitiva Dio è il suo vero prezzo. San Michele raccomandava ad un fratello laico: “Fa’ ciò che Dio vuole, come Lui lo vuole, perché Lui lo vuole. Allora sarai santo e renderai santi molti altri”.
E diceva anche: “A che serve avere i muri della nostra casa coperti di immagini di santi, le nostre chiese piene delle loro statue se nel nostro lavoro, nelle nostre sofferenze, nella nostra vita non c’è nulla che assomigli a loro?” Se fuggiamo la fatica, se odiamo la sofferenza, se conduciamo una vita molle? “Siamo coerenti con quanto diciamo; mostriamo a noi stessi ciò che dobbiamo essere: irremovibili nelle nostre risoluzioni, niente pusillanimità; cuore grande, animo risoluto! Avanti sempre! Gesù Cristo non vuole soldati pigri, ma dei lottatori e dei vincitori”. San Michele disse un giorno: “Senza il buon Dio e mia madre sarei diventato un assassino”. Con l’aiuto di Dio, dei suoi genitori dei suoi insegnati vincerà il suo carattere focoso e ribelle e diventerà dolce ed affabile. Alcune persone che hanno conosciuto San Michele hanno detto di lui nelle testimonianze per la canonizzazione: “Nato con un carattere violento, aveva saputo dominarlo totalmente. Già ad Aire (in seminario) era lodato per la sua cordialità e per la sua dolcezza. Il temperamento di padre Garicoits era forte, con una grande tendenza alla vivacità e all’impetuosità. Ma, a forza di atti virtuosi, si rese assoluto padrone di se stesso, a tal punto ce non si notò mai in lui alcun segno di collera; anzi, sembrava avere come qualità caratteristiche la dolcezza e la bontà.
Lo si chiamava “il buon padre Garicoits”. Di lui disse padre Domenico Mariotte, sacerdote oratoriano: “L’impressione che mi ha lasciato, e che per me è la sua caratteristica, è questa: sapeva unire all’ardore del fuoco la soavità dell’olio. La sua conversazione infatti irrompeva come la fiamma e si infiltrava come l’olio, era l’unione, in grado eminente, della forza e della dolcezza”. E il papa Pio XII, il giorno seguente la sua canonizzazione nell’Udienza generale del 7 luglio 1947, disse: “Se si studia la figura di Michele Garicoits, la sua storia e la sua psicologia, si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una di quelle acqueforti che per la nitidezza tagliente dei tratti incisi nel rame, per il chiaroscuro che oppone la vivacità delle luci e la profondità delle ombre, sono adatte ad esprimere la marcata fisionomia d’un carattere forte… La forza di vincersi ha messo la dolcezza della grazia nella rude natura del montanaro dei Pirenei. Con la povertà, ben capita e amata ha accolto il suo inseparabile corteo di umiltà e di mortificazione, di abnegazione, di zelo, di carità e si è compenetrato nello stesso tempo d’una tale bontà, che si poteva bene adattargli l’espressione biblica: “dal forte … la dolcezza (Gd. 14,14)”. “Dal forte…la dolcezza”: il papa prese spunto dal libro dei Giudici (14,14) quando Gedeone uccide il leone e mangia il miele che lo sciame di api ha posto nella sia carcassa. Dal forte Michele è uscita la dolcezza della carità. San Michele diceva:“ La carità vera è forte e dolce nello stesso tempo: sa unire l’amore delle persone all’odio del vizio; essa è piena di condiscendenza, ma nessuna vile complicità”. Nella lettera ai Colossesi (3,12-17) san Paolo ci dice: “Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza;  sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri”. La carità conduce alla santità. E non è facile. Ci dice ancora papa Francesco (cap. 32 e 34):“Non avere paura della santità. Non avere paura di puntare più in alto, di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia. In fondo, come diceva León Bloy, nella vita «non c’è che una tristezza, […] quella di non essere santi”. E San Michele non è stato mai triste, perché è stato un santo che ha vissuto con generosità e perseveranza l’amore di Dio e dei fratelli. Visse nella gioia perché si donò totalmente a Dio e ai fratelli. Sull’esempio del Sacro Cuore si sforzò di donarsi con gioia convinto che “Dio ama chi dona con gioia e che nessuno può essere felice se Dio non gli dona la felicità”. E così deve essere anche per noi, se vogliamo vincere la tristezza, lo scoraggiamento, il pessimismo che spesso ci prende e ci chiude in noi stessi. E diceva ancora: “Un cuore che ama solo Dio e la sua volontà, che fa dipendere la sua felicità dal Regno di Dio e dalla sua giustizia, e che, per il resto, è tranquillo perché sa che il Padre celeste si prende cura di lui, questo cuore possiede la scienza della felicità. Solo in Dio si trova la nostra felicità, perché con lui si è felici ovunque, nell’indigenza come nell’abbondanza; con Dio la felicità si trova anche in galera, anche ai piedi del patibolo. La nostra più grande felicità è di poter dire ad ogni istante, in tutta verità: “Il Signore mi governa e niente mi mancherà. Io sono immerso nell’oceano degli infiniti tesori del mio Dio”. In conclusione chiediamo al nostro Fondatore di aiutarci a diventare santi e facciamo nostra questa preghiera di padre Etchecopar a san Michele: “Grazie, o Padre, per tutto quello che ti dobbiamo. Sei stato tu ad iniziarci alla vita religiosa. Sei stato tu ad associarci alla tua missione venuta dal cielo. Per te fummo arruolati sotto questa bandiera, che porta due cuori con la sublime divisa: Eccomi! Ecce venio! Fosti tu la nostra guida, la nostra luce, il nostro modello perfetto, la nostra forza e la nostra consolazione. O padre continua! Fa che noi siamo tuoi imitatori, come tu lo fosti di Gesù Cristo. Proteggi tutti quelli che Gesù ti ha donato. Difendi la tua opera, l’opera stessa di Gesù e di Maria. Fa’ che noi siamo santi e perfetti!”.

 

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